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Lettura Consapevole Delle Etichette

26.04.2021

In base alla legislazione attuale, l'etichetta di un pet food completo deve presentare obbligatoriamente almeno tre parti ben distinte:

1. Ingredienti
2. Tenori analitici
3. Additivi

Ingredienti

In maniera analoga a quanto avviene in alimentazione umana, gli ingredienti devono essere indicati in ordine decrescente di quantità, vale a dire da quello presente in maggior percentuale a quello meno rappresentato.

Ai primi posti ci saranno quindi i componenti più abbondanti e, visto che parliamo di cibi destinati a cani e gatti, saremo tutti d’accordo nel volerci aspettare gli ingredienti di origine animale in cima alla lista, seguiti poi da tutti gli altri. La specie o le specie di provenienza della carne dovrebbero essere sempre ben menzionate, così come la tipologia di carne utilizzata. Il fatto che un alimento presenti sul sacco la dicitura "al pollo" o "ricco di agnello", ad esempio, non basta a far sì che in quell’alimento l’ingrediente più rappresentato sia la carne di pollo o di agnello perché per legge, per poter essere pubblicizzato come "al pollo" è sufficiente che un alimento contenga il 4% di tale carne, percentuale minima che sale al 14% nel caso si usi la parola "ricco".

Nella lista degli ingredienti di un alimento di qualità, dopo la fonte proteica principale, dovreste trovare il grasso principale o la fonte di carboidrati (possono anche essere invertite in base alla tipologia di formula/destinazione d’uso). In entrambi i casi è fondamentale che l’ingrediente sia ben identificabile e non indicato con diciture generiche che non ne permettano di identificare la specie animale o quella vegetale di origine. Diciture vaghe come “grassi animali, olii vegetali o sottoprodotti della lavorazione di vegetali” non garantiscono la qualità e la salubrità dell’ingrediente e sono deficitarie in fatto di trasparenza.

Le diciture “frumento” o “sottoprodotti della lavorazione dei cereali”, stanno a indicare l’uso di riempitivi abbastanza inutili, ma utilizzati in grande quantità per il loro basso costo. Trattandosi di materiale per lo più indigeribile è causa molto spesso di aumento del volume delle feci o addirittura di diarree. Fonti di carboidrati più assimilabili e di migliore qualità, da preferire sempre, anche per l’apporto collaterale di altri micronutrienti come gli oligoelementi e i prebiotici, sono invece il riso, l’avena, il farro, la quinoa, e la patata.

Parlando di carboidrati, una cosa a cui fare attenzione è il cosiddetto “splitting, un modo in cui un ingrediente viene scomposto in sue componenti allo scopo di poterlo riportare in etichetta in percentuali minori.
Esempio:
Ingredienti effettivi: mais 30% riso 20% pollo disidratato 18% (carne al 3° posto)
Stessi ingredienti con lo “splitting: pollo disidratato 18%, farina di mais 16% glutine di mais 14% riso 11% crusca di riso 9% (carne al 1° posto)
E' evidente che l'alimento non sia cambiato, ma si illude il consumatore che la carne sia al primo posto!

I grassi, dovrebbero provenire in maniera quasi esclusiva da fonti animali anche in questo caso ben identificabili, dovrebbero essere il più possibile puri come ad esempio strutto di suino, grasso bovino o il grasso di pollo (Brit Care), particolarmente ricco per altro in carotenoidi e Omega-6. La specie di provenienza del grasso principale può anche essere la stessa della fonte proteica, per cui nelle formule con carne di agnello troveremo grasso di agnello, in quelle con carne di anatra, grasso di anatra e via dicendo (Golden Eagle Hypoallergenic). Alcuni oli animali o vegetali, vedi l'olio di pesce o di salmone, di enotera o di lino, vengono utilizzati solitamente in piccola percentuale come fonti di acidi grassi essenziali o come aromatizzanti naturali. Anche il grasso di pollo può essere utilizzato a questo scopo.

Dopo il grasso principale e la fonte glucidica, in etichetta, si trova “tutto il resto” degli ingredienti. Questo comprende tutto ciò che è presente in percentuali molto minori come eventuali verdure o frutti, inseriti per un apporto corretto di vitamine, oligoelementi e fibre alimentari, ma anche quelle sostanze di origine animale o vegetale inserite a scopo benefico, che devono essere però presenti in quantità adeguata, pena il venir meno delle loro proprietà benefiche. È il caso dell’olio di salmone, dell’olio o dei semi di lino, fonti di Omega-3 e -6 o dei fitoterapici, di solito presenti in miscele scelte.

Tenori analitici

Li possiamo trovare sotto forma di tabella o di elenco e ci forniscono delle informazioni quantitative sui nutrienti: l'apporto di proteine, grassi, ceneri, fibre e umidità. Non ci danno nessuna indicazione qualitativa, per cui, al fine di saggiare la qualità e l'idoneità nutrizionale dell'alimento che abbiamo di fronte, questi dovrebbero esser letti insieme alla composizione. Un alimento potrebbe avere, ad esempio, un tenore proteico che riteniamo giusto per il nostro cane o il nostro gatto, ma essere costituito prevalentemente da vegetali e proteine vegetali ed avere così un valore biologico nettamente inferiore rispetto ad un alimento di pari tenore proteico ma al quale concorrono per la maggior parte o per la totalità, fonti proteiche animali. Riportare la percentuale di carboidrati non è un obbligo di legge, ma possono essere stimati approssimativamente per differenza, con questo semplice calcolo:

Carboidrati Stimati (%) = 100 - (Proteine grezze + Grassi Grezzi + Fibre Grezze + Umidità + Ceneri)

Due parole sulla quantità di carboidrati negli alimenti per cani e gatti. Esistono sostanzialmente due fazioni contrapposte di consumatori: chi demonizza a prescindere i carboidrati inneggiando a un’alimentazione quasi esclusivamente costituita da proteine e grassi animali e chi invece è terrorizzato dal tenore proteico e finisce per scegliere per il suo pet un’alimentazione di fatto a base di granaglie. Dove sta la verità? Come sempre succede in questi casi dove a comandare è più il tifo da stadio che una logica razionale, sta nel mezzo.
Abbiamo già detto che un alimento ottimale che sia destinato a cani e gatti deve avere come ingrediente più rappresentato la o le proteine animali, ma tra carboidrati e grassi, quale dei due dovrebbe essere più presente in un alimento? Anche in questo caso non si può rispondere con un assolutismo, ci sono in causa svariati fattori come lo stadio fisiologico dell'animale (cucciolo, adulto, anziano, femmina in gravidanza o allattamento), il grado, la tipologia e l’intensità del lavoro fisico che svolge l’animale regolarmente ed altri fattori soggettivi.

I dati di fatto sono che il cane, da un punto di vista metabolico e di fisiologia digestiva non è più un lupo da diverso tempo, a differenza del suo antenato selvatico ha una buona capacità di digerire e trarre energia dai carboidrati, non compie decine di chilometri per procacciarsi il cibo e non mangia solo quando trova una preda ma mediamente due volte al giorno. Altro dato di fatto è che, a parità di quantità, i grassi forniscono quasi il doppio di calorie rispetto ai carboidrati. I carboidrati forniscono energia direttamente, evitando così che l'organismo utilizzi gli aminoacidi delle proteine ingerite a scopi energetici. A differenza dei grassi, che se non utilizzati a scopo energetico, vengono immagazzinati in tessuto adiposo, i carboidrati non utilizzati immediatamente, prima di essere convertiti in grasso, possono essere immagazzinati nel fegato per poi essere utilizzati all'occorrenza come fonte di glucosio. Questo significa che se vengono forniti carboidrati all’animale, la parte che verrà assorbita sarà subito disponibile nell’organismo e questo evita che il corpo vada a distruggere le proprie proteine per creare glucosio con il rischio che venga meno la funzione plastica e strutturale delle proteine.
Da tutto questo ne deriva che i carboidrati non sono un problema a prescindere visto che il cane è perfettamente in grado di utilizzarli a fini metabolici e che quindi non deve spaventare se una formula destinata a cani sani, magari non particolarmente attivi presenta una tenore moderatamente maggiore in carboidrati rispetto ai grassi. Sono molto più importanti la qualità di questi carboidrati, la loro digeribilità e il loro indice glicemico.
Di contro, ben venga un’alimentazione con rapporto grassi/carboidrati invertito, in favore dei grassi quindi e magari con un tenore proteico superiore al 30% per supportare l’anabolismo muscolare, in cani fortemente impegnati in lavori fisici aerobici e/o anabolici.

Per quanto riguarda il gatto il discorso è analogo, è ancora un carnivoro stretto pur presentando anche lui capacità di digestione degli amidi, anche se in misura minore rispetto al cane. Con il gatto dobbiamo fare i conti però con altre variabili che sono la sterilizzazione a cui va incontro la maggior parte degli esemplari, lo stile di vita mediamente ancor più sedentario rispetto al cane e l’incidenza delle patologie a carico delle basse vie urinarie costantemente in aumento, specialmente nei maschi sterilizzati. Queste variabili non ci permettono sempre di nutrire il gatto alla stregua di un felino selvatico ma ci impongono dei compromessi che non favoriscano troppo l’aumento di peso (uno dei maggiori fattori predisponenti per diverse malattie metaboliche feline), che non gravino troppo sulla funzionalità renale e che non causino un’eccessiva e persistente sovrassaturazione urinaria di certi minerali che è alla base delle ostruzioni urinarie. Studi recenti poi hanno dimostrato come l'obesità del gatto sia causata in maniera quasi selettiva da un'alimentazione con eccesso di grassi piuttosto che di carboidrati (Cats and Cardohydrates: Adronie, Verbrugghe and Myriam Hesta. Jacquie Rand, Academic Editor 2017)

L’umidità: Rappresenta la percentuale di acqua nell’alimento e sarà prevedibilmente molto più elevata in un alimento umido rispetto a uno secco dove solitamente va dal’ 8 al 10%. Questo porta con sé una considerazione: a parità di peso, un alimento umido fornisce si più acqua ma proprio perché più “diluito” si porta dietro meno nutrienti e meno calorie. Ne servirà di più quindi per coprire il fabbisogno giornaliero, motivo per cui alimentare un animale solo con alimento umido può avere un costo anche sensibilmente più elevato rispetto ad un alimento secco di pari qualità.

Proteine grezze: Esprime in percentuale la quantità di proteine presenti in 100 grammi di alimento, non dà nessuna indicazione qualitativa sulla loro provenienza, valore biologico e digeribilità. In questo valore rientrano sia le proteine animali che vegetali. Non è facile, anzi è impossibile, indicare un tenore proteico ideale considerato il numero di razze, di morfotipi di cani e i fabbisogni che variano in base agli stadi fisiologici e gli stili di vita. La questione si fa più semplice per quanto riguarda il gatto per il quale, avendo conservato le caratteristiche di carnivoro stretto, è bene scegliere in linea di massima un alimento con il più alto tenore proteico possibile, se parliamo di un gatto sano, non sterilizzato e normalmente attivo.

Grassi grezzi: Idem come sopra, forniscono solo un’indicazione sulla quantità di gassi presenti senza nessuna accezione qualitativa. Si va da un 10-12% delle formule light e destinate agli individui anziani a 20% ed oltre per quelle formulate per cani in attività o gatti che vivono all’aperto e che si prestano anche ad essere utilizzate per alimentare femmine in gravidanza o allattamento. I grassi hanno sostanzialmente scopo energetico, in minor misura strutturale (grasso funzionale, lipoproteine) e sono responsabili, tra le altre cose, della corretta assimilazione delle vitamine liposolubili.

Fibre grezze: Rappresenta il contenuto di fibra presente nell’alimento. Nel cane ci si dovrebbe attestare a valori medi intono al 3-4%. Nel gatto i valori ottimali si hanno intorno al 2-2,5%. Gli alimenti cosiddetti “light”, ad apporto calorico ridotto, sia per cane che per gatto hanno un contenuto di fibra superiore in quanto questa contribuisce a contenere il senso di fame. Le fibre non sono tutte uguali, da preferire alimenti che presentano fibre dalla funzione prebiotica, ovvero i MOS (mannano-oligosaccaridi) e i FOS (frutto-oligosaccaridi) che, non solo hanno un indubbio effetto benefico sulla digestione e il transito intestinale ma contribuiscono a limitare i picchi di glicemia post prandiale e vengono utilizzati dai batteri intestinali “buoni” come substrato, per riprodursi a scapito di quelli meno "buoni" e producendo tutta una serie di sostanze che rafforzano l’immunità e l’integrità della mucosa intestinale.

Le ceneri: Contro di loro per molto tempo si è messa su una ingiustificata crociata ma altro non sono che le sostanze minerali contenute in un alimento. Si chiamano ceneri perché il metodo di misurazione prevede di bruciare un campione noto di alimento ad alte temperature, misurando poi la quantità di materia rimasta incombusta. Questa è rappresentata appunto dai minerali, non a caso nelle etichette di prodotti destinati all’alimentazione umana, vengono indicate proprio come “Sali minerali”. Per molto tempo si è creduto che un valore troppo elevato di ceneri indicasse necessariamente una scarsa qualità dell’alimento e l’uso di ingredienti animali di infima qualità ma oggi non è più così. Con l’aumento degli standard di qualità anche degli alimenti più economici, l’accesso a carni animali meno convenzionali, il sempre più utilizzo di carne, le variabili che incidono sul tenore in ceneri sono veramente tante. Banalmente quindi, una crocchetta di qualità con molta carne conterrà più ceneri rispetto ad un alimento con pari tenore proteico ma dato prevalentemente o esclusivamente da idrolizzati proteici da piume. Vogliamo forse dire che questo alimento è migliore rispetto al primo? Ovviamente se in un alimento al cui interno è presente come fonte proteica principale una farina di carcassa, ritrovo un valore di ceneri particolarmente elevato, questo molto probabilmente è dovuto al fatto che una grossa percentuale della farina di carcassa è rappresentata da farina di ossa. Se le diciture infatti di "farina di carne" e carne disidratata posssono essere considerate equivalenti, il termine "farina di (specie animale)", non ci da garanzia alcuna sul fatto che nella miscela sia presente in maniera esclusiva o quasi solo carne disidratata macinata.

Additivi

Un additivo è definito dalla legge come “sostanza[…] diversa dalle materie prime e dalle premiscele, intenzionalmente aggiunta agli alimenti per animali […], al fine di svolgere in particolare, una o più funzioni che per esempio influenzano favorevolmente le caratteristiche dei mangimi ecc...”. Tale regolamento fornisce una lista degli additivi autorizzati per il pet food e fissa dei tenori massimi ai quali le aziende produttrici devono fare riferimento, al fine di assicurare che questi siano presenti solo in quantità non potenzialmente tossiche per la specie di destinazione. A seconda delle sue funzioni o proprietà, un additivo per alimenti può essere classificato in uno dei seguenti gruppi:

Additivi Tecnologici: hanno lo scopo di migliorare la qualità produttiva e la conservazione del prodotto (conservanti, stabilizzanti, addensanti, antiossidanti ecc.)

Additivi Organolettici: migliorano odore, sapore e colore del prodotto (es. coloranti e aromi).

Additivi Nutrizionali: sono costituiti da vitamine, provitamine, oligoelementi e aminoacidi che svolgono un ruolo biologico molto importante e quindi possono valorizzare la qualità funzionale di un mangime rispetto ad un altro.

Additivi Zootecnici: rientrano tra questi i promotori della digestione e gli stabilizzatori della flora intestinale, ovvero quelle sostanze che migliorano la digeribilità del prodotto e il benessere gastrointestinale dell’animale.

La dichiarazione degli additivi nell’etichetta è un obbligo di legge. I principali additivi utilizzati nel pet food, espressi in mg/Kg o UI nel caso di alcune vitamine, sono rappresentati da composizioni vitaminiche di varia natura, oligoelementi minerali come ferro, rame, selenio zinco, ecc e dagli antiossidanti. Gli additivi, soprattutto i conservanti, possono essere di natura sintetica (chimici) oppure di derivazione completamente naturale. I conservanti naturali non pongono alcun interrogativo circa eventuali rischi, grazie appunto alla loro composizione assolutamente naturale e compatibile con la biologia dell’animale. Il consiglio per cui è di rivolgersi preferibilmente a prodotti che non facciano uso di sostanze chimiche a nessun livello ma che ricorrano invece a quelle naturali (yucca, estratto di rosmarino, tocoferoli (Vit.E) come antiossidanti), no ai coloranti di sintesi e agli appetizzanti (aromi) artificiali, preferendo invece quelli naturali come certi grassi animali, l’olio di pesce, le salse o gli estratti di fegato.

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